Los Arcos – Logroño 27km

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Dicono che il cammino sia come la vita. Ci penso al km 7 di questi 27, quando vedo per terra 4 frecce gialle una vicina all’altra, ad indicarci, senza indugi, la strada.

Dall’inizio alla fine, lungo tutte le strade, ad ogni bivio, c’è un segnale che indica la direzione per Santiago. Può essere una freccia gialla su un muro, a terra, su un palo. Può essere un muretto di pietra con una piastrella incastonata e la conchiglia stilizzata. Può esser un vero e proprio cartello in metallo o in legno, che precisa anche la distanza in km dalla prossima città.

Mi dico “sarebbe bello che la vita fosse così davvero, piena di frecce gialle che ti indicano la retta via”. Mi fermo e mi rendo conto che la vita è proprio così. Non sono sempre frecce gialle, ma se stai attento, questa terra è piena di segnali da leggere, di indicazioni da ascoltare.

I fratelli hanno sbagliato strada qualche giorno fa, si sono distratti, non hanno visto le indicazioni ed hanno percorso 3 km in più. Era il giorno in cui li abbiamo trovati a Estella, sereni e beati, seduti al bar ed intenti a costruire cover con lo scotch impermeabile ed ultra resistente. Non sugante avessero sbagliato strada, ci avessero messo un po’ di più, erano arrivati comunque a destinazione, con pacata perseveranza.

Non è forse così la vita? Non fanno forse giri immensi gli amori, per poi ritornare? Non ci complichiamo la vita per puntuale distruzione, per poi guardarci indietro con un sorriso e relativizzare gli errori fatti?

Ho fatto colazione accanto a due signore sulla 60ina, una svizzera ed una credo americana. Di fronte a noi un gruppo di coreane con le quali purtroppo non riusciamo a comunicare. Qualche anno fa in Corea è uscito un film documentario di una signora che ha percorso il cammino con due borse di tela della spesa nelle mani. Da quel momento è diventato estremamente popolare anche nel paese che nel 2002 ci ha fatto pensare durante una partita che ricordo ancora bene, ed orde di signore coreane invadono le strade del nord della Spagna, senza sapere nemmeno una parola di spagnolo nè di inglese.

In ogni caso, la signora accanto a me ieri sera ha cenato nello stesso ristorantino (l’unico) in cui abbiamo cenato noi e stava ridendo con la sua compare Svizzera ricordando quanto fosse rude la cameriera. Si è soffermata sul fatto che, in una normale giornata, al di fuori di questo cammino, probabilmente ci saremmo arrabbiati in una situazione del genere, con una cameriera con il broncio che lancia i piatti e si lamenta ad ogni ordinazione, ma così non è stato, anzi, la situazione è stata piuttosto goliardica e divertente.

Le dico che in Italia c’è un libro, anzi, in realtà 3, scritti da uno dei miei autori preferiti, che per mesi ho letto ogni mattina. Momenti di trascurabile felicità. Ecco, sul cammino la felicità è costante e non la trascura nessuno, ma quando torneremo a casa, sarà opportuno continuare così. Farlo notare a chi ci sta attorno. Continuare a ridere quando il cappuccino si rovescia sui pantaloni beige, perché… cosa vuoi che sia?

C’è un vento incredibile che ci spinge controcorrente, ma che ha anche portato velocemente via le nubi. Ho dormito malissimo, che peggio non si può, ed oggi la tratta è la più lunga da quando siamo partiti: quasi 30km.

A metà strada abbiamo incontrato un baracchino trasformato in baretto, il cui gestore è un fisioterapista. Dopo il divorzio ha aperto un ristorante ed 8 anni fa, dopo il cammino di Santiago, ha lasciato il ristorante per aprire il suo bar, proprio qui. Ha una voce pacifica e non posso fare a meno di dargli attenzioni. Mi sono avvicinata saltellando e con il sorriso, per salutarlo. Ha subito esordito con un “ohhh così, con allegria”. Tra un caffè e l’altro gli ho raccontato gli acciacchi che mi porto dietro da qualche giorno a questa parte: dopo 20 km la pianta del piede destro inizia a gridare. Parola di barista-fisioterapista: se vi capita, quando siete nella doccia, fateci la pipì sopra. Io ve l’ho detto.

Lascio il cartello che indica l’ingresso di Vianda alla mia sinistra, il vento si è pacato ed il team è davanti a me. Li vedo tutti in fila e sono attraversata da una profonda sensazione di piena gratitudine. Si girano, controllano che io sia ancora qui, puntuali. Potrei camminare altri cento km. Mi brillano gli occhi, sono lucidi di grazia. Nelle cuffie Dani Fernandez canta “si te esperé toda una vita, aun puedo un poco más” mia cara serenità, è proprio questo il tuo volto?

Attraversiamo Vianda, probabilmente il paese più bello in cui siamo stati. Come promessoci, ci fermiamo per riprendere fiato e mangiare qualcosa, l’ostello Pilgrim Oasis attira la nostra attenzione con humus, verdure e con un cartello al suo ingresso, che recita: “Che il cammino si alzi para incontrarti. Che la brezza soffi sulla tua schiena. Che il tenue luccichio del sole illumini il tuo viso. Che pioggia cada dolcemente sui tuoi campi. E, finche non ci rivedremo, che Dio ti protegga nel palmo della sua mano.”

Con una premessa così, non poteva che attenderci il miglior humus di sempre. C’era l’aglio. Una delizia.

Ripartiamo carichi, finché il vento non si fa veramente intenso, la pioggia inizia a bagnare il poncho, poi i leggings ed infine anche le scarpe. Poco, per fortuna il vento aiuta a deviarne la traiettoria. In quest’ultimo tratto ho il piacere di conoscere un papà ed un figlio, bergamaschi, sprovveduti come me con scarpe non impermeabili. Prenderemo, se non lo perdiamo, lo stesso volo per tornare in Italia. Magari mi distrarranno dalla tristezza che appesantirà il mio petto quel giorno.

Passiamo di fronte ad una casetta chiusa in cui – ci racconta la ragazza olandese accanto a noi – soleva vivere una ragazza che si occupava di timbrare le credenziali all’ingresso della città. Quando è venuta a mancare la madre ha preso il suo posto (o viceversa), ed ha fatto il cammino decine di volte in suo onore. L’ingresso della villetta è sormontato da decine di credenziali incorniciate. La pioggia fitta, il suo rumore, rendono questo passaggio mistico e personale.

Stanotte dormiremo in una camerata da 10. Già abbiamo visto alcuni russatori. C’è anche Marti, l’avvocato americano che si occupa di immigrazione, nello specifico di quella degli Hamish, che abbiamo conosciuto sulla strada per Zubiri.

C’è anche un altro signore americano che non ho avuto il piacere di conoscere in precedenza. Mi presento, gli dico che sono italiana “non lavorerai mica per Generali?”. In realtà si, gli rispondo. Preso, alla prima domanda. Mi racconta che ha lavorato per un importante fondo americano e prima di andare in pensione ha lavorato per un anno su un progetto con Generali. Mi mostra anche un collega tra le migliaia dei miei colleghi, per chiedermi se lo conosco. Sarebbe stato troppo.

Facciamo 2 lavatrici, 8€. Stretching con un attrezzo che sembra un gioco di un gatto, che ci presta Marti. Una doccia dignitosa, in un bagno pulitissimo. Quando il bucato pronto e caldo esce dall’asciugatrice lo dividiamo, ci rivestiamo, godendoci il calore ed il profumo che emanano i vestiti appena usciti dalla lavanderia. Ci aspetta una paella così buona che raschieremo la pentola. Anche oggi, tristi domani.

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