Mi fermo un attimo in mezzo alla strada, gli occhi chiusi. Il cielo è appena diventato rosa, dopo essere passato dal bianco all’azzurro. Dietro di me, alle mie spalle, biciclette e monopattini elettrici superano i passanti. Davanti a me sfrecciano verso il weekend, per qualcuno già iniziato, macchine e motorini. Sono uscita per vedere il tramonto e dentro di me c’è stata un’alba.
Ho guardato la Senna ciondolare, i turisti spalancare gli occhi, i Flesh scattare all’impazzata, sul ponte nuovo. Una guida con un forte accento spagnolo raccontavano ai turisti, con le orecchie tese, che Parigi è la città delle sirene. Non quelle con la coda, ma quelli delle ambulanze.
In una città con 12 milioni di abitanti – diceva – è facile sentire, ad intervalli regolari, il canto per niente melodico dei mezzi di soccorso.
Mi chiedo quante persone ogni minuto stiano male a Parigi. Guardando il numero di clochard per strada e potrebbero essere tante. Contando i minuti tra una serena e l’altra, sono sicuramente tante.
Caccio questi pensieri mentre I miei piedi toccano il legno del Pont des art, quello prediletto da artisti ed autori. Oltre il fiume c’è una via che porta al 6em arrondissement, in cui anche le facciate delle case trasudano arte, è Rue de la Seine che mi risucchia.
Mentre cammino tra i ristoranti con menu turistici del quartiere latino, un ragazzo con un bel cappello a falda larga suona una canzone rock che non conosco. Proseguo ed incrocio con lo sguardo un ragazzo egiziano. Si gira e “scusami, mi spiace disturbarti, ma non posso non dirti che sei bellissima”. Cambia il sottofondo, inizia una canzona Latina mentre ci mettiamo a chiacchierare, è a Parigi con la famiglia da quando ha 10 anni, ma ha vissuto e lavorato anche a Milano, a casa Milan. Gli lascio il numero, un po’ incredula di fronte a cotanta elegante spavalderia.
Qui le persone ti parlano. Chiedono indicazioni, attaccano bottone al bar, non sono molto interessate a come sei vestita, ti guardano davvero fisso negli occhi, ti fermano per strada, tagliano corto, si buttano, sembrano sapere bene che la città è grande, e la vita troppo corta per farsi sfuggire un’occasione.
Davanti alla fontana Saint michelle c’è un ragazzone seduto su una cassa, è da lì che proviene la musica latina. La sua performance non è altro che un click sull’mp3 per cambiare canzone, si alza ogni tanto per ballare, copre il rumore delle macchine che a destra e sinistra stringono la fontana. Regala un ritmo alla a quest’angolo di città senza chiedere nulla in cambio. Non è forse questa l’arte?
Mentre sfogliavo un album di vecchi francobolli, cianfrusaglie che si potrebbero trovare tranquillamente nella galleria di casa a Casale, una ventata di profumo famigliare mi ha invaso le narici. Cos’è? Da dove? Peperoni. Odore di casa della nonna.
Fino a quando non mi sono trasferita a Casale, casa dei nonni era un’entità lontana. Con i nonni materni passavo intere estate e con quelli paterni solo qualche momento qua e là durante l’anno. Poi la scelta di trasferirci ed andare a vivere proprio accanto a loro. Una novità, inaspettata per una bambina di 8 anni. Durante la ristrutturazione mamma e papà mi hanno mandata a vivere proprio in casa dei nonni, in un momento di transizione che mi ha permesso di rinascere un’altra volta.
Sono tornata a dormire nel lettone, perché non c’era una camera per i bambini ed ho iniziato, proprio come un neonato, a fare un sacco di cose per la prima volta: andavo a scuola da sola, avevo il coprifuoco, la paghetta ed aiutavo la nonna quando si sbizzarriva in cucina. Sono stata iniziata, in quei mesi, alla cucina piemontese e ad alcune inflazioni francesi che porta con se. Pane burro e zucchero per colazione, panissa, peperoni, aglio. Una volta andare al ristorante era qualcosa di meno abituale o semplicemente quando io e le mie sorelle eravamo piccole i miei genitori limitavano le mangiate fuori casa a rari momenti estivi – che io ricordi. In casa mia i peperoni non si erano mai visti, così come non si erano mai viste tante altre pietanze che nonna si divertiva a preparare. I peperoni però hanno un odore così forte, che all’epoca risultava così nuovo al mio olfatto, che è bastata una ventata, nel Passage de Panoramas, per rispedirmi dritta a casa.
Ci sono ricordi che i miei sensi conservano, che il mio cervello non sa nemmeno di aver immagazzinato. Che sensibilità questi umani.