Era un giovedì qualsiasi di fine febbraio, il tempo era mite da qualche giorno, sembrava in arrivo la primavera. Per rompere la routine dello smart working avevo deciso di andare a lavorare da WeWork e per farlo avrei dovuto vestirmi.
Ci sono outfit che mi piacciono e poi ci sono gli stivali alti, con i vestiti corti, che mi piacciono tantissimo. Ancora di più però, mi piace il momento in cui puoi concederti senza indugi di non mettere i collant.
Nulla al mondo è più fastidioso dei collant, soprattutto quando smetti di metterli e percepisci candidamente la differenza.
Se non stringono in vita cadono e devi muoverti con la grazia di un ornitoringo per tirarli su: li acchiappi attraverso i vestiti, pieghi leggermente indietro il sedere, allunghi le gambe, fai qualche saltello e ti sembra si siano alzati, nel frattempo la maglia è uscita, la gonna o il vestito si sono girati e devi comunque spogliarti per sistemare tutto.
Se invece stringono in vita non cadono, ma guai a te a mangiare qualcosa, men che meno da seduta. Al corso di primo soccorso ci hanno insegnato che il laccio emostatico va usato in casi di estrema necessità, se non vi sono alternative, perchè potrebbe portare alla cancrena se mantenuto eccessivamente. Da Calzedonia perché non ci spiegano che la taglia S dei collant potrebbe interrompere il processo digestivo per 3 giorni? Non scende nulla, finché non li togli ed esplodi come una sacca posh.
Potete solo immaginare, quindi, la gioia nell’uscire senza: mangiare senza indugi, l’arietta fresca su quella piccola porzione di gamba che riesce a rinfrescare tutto il corpo, la consapevolezza del cambio di stagione in arrivo, la comodità di poter fare pipì con un semplice gesto.
E poi ci sono loro: gli altri.
Sì, perché quel piccolo tratto di pelle, possono essere 5, 10, 30 centrimetri, non importa, basta una minima porzione di carne, per far affluire il sangue della persona che hai davanti in un solo posto. Se uomo, verso il pene, se è donna, verso il cervello.
Lui, tendenzialmente, penserà che ad una distanza X da quella porzione di pelle, c’è un orefizio, avrà voglia di toccarla e non riuscirà a trattenere l’emozione, a non far cadere l’occhio.
Lei, tendenzialmente, penserà “ma fa ancora freddo” oppure “vorrei quelle gambe” o ancora “troppo lunghe, troppo corte, troppo grosse, troppo ruvide, troppo bianche, troppo pelose” e non riuscirà a trattenere il labbro superiore che si inarcherà verso l’alto in segno di disappunto. Tranne quelle impavide, quelle che hanno scelto anche loro di lasciare a casa il laccio emostatico che osano chiamare collant, che invece si lasceranno sfuggire uno sguardo d’intesa.
Quel giovedì sono uscita a pranzo, un campotto lungo fino ai piedi mi copriva sia il vestito, sia la piccola porzione di pelle nuda, sia gli stivali alti. Sbottonato, però, lasciava che un ginocchio spuntasse ad ogni passo. Un piccolo pezzo di gamba, da sotto a sopra la rotula.
Ho attraversato il mercato di via San Marco con falcate decise, bardata con la mascherina fino alla fronte, per arrivare fin da Colibrì, passi lunghi e ben distesi, solo gli occhi e quel piccolo ginocchio visibili all’occhio umano. Penso che la mia rotula abbia mietuto più vittime in quel mercato di quanti non ne abbia stesi sul ring il Tyson di turno.
“Ohhh signorina”
“Ma che bella”
“Wellaa”
“Ahhh buongiorno”
“Complimenti signorina”
Sorridevo, salutavo, ringraziavo, proseguivo. Erano commenti e complimenti educati, non fischi da gatto allupato, non insulti, forse per questo mi facevano sorridere e nemmeno lontanamente sentire poco rispettata.
“Siamo donne, oltre le gambe c’è di più“, candavano con tutte le gambe all’aria Jo Squillo e Sabrina Salerno nel 1991, a Sanremo. Le hanno imitate Fiorello ed Amadeus qualche giorno fa, con i pantaloni.
Non riesco a fare a meno di soffermarmi sul fatto che quegli sguardi, quei commenti (educati appunto e non sconci), quelle bocche aperte, sono qualcosa che dà gratificazione, che fa piacere. Perché a tutti ed a tutte, anche alle persone più timide, piace piacere, trovare approvazione negli occhi e nelle parole di chi le circonda, conosciuti e sconosciuti, ma è un piacere che riesco a concepire solo nei limiti della considerazione di quel “di più”, nella piena consapevolezza di quello che c’è “oltre”.
Belle gambe, bella testa.
Bel sorriso, grande cervello.
Ottima passerella in mezzo al mercato, grandioso progetto presentato in board.
Fisicata micidiale e mamma fantastica.
Ed al contrario, mamma pazzesca, non serve sia bella.
Manager di livello, non me ne frega niente delle sue gambe.
Che eleganza, che classe, che stoffa, che determinazione, che genio, cos’è la convenzionale bellezza a confronto?
Siamo il nostro corpo, siamo la nostra testa, siamo le nostre emozioni, siamo l’amore che riceviamo, quello che ci concediamo, quello che diamo. Siamo le nostre gambe e siamo di più, tutto.