Tornare a “casa” – diario di bordo 26

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Voliamo sulla fine di questo viaggio. Voliamo, 3 mesi dopo, verso dove tutto è iniziato e dove tutto continuerà.
Il cielo è azzurro chiaro, le nuvole bianco candido, si mischiano con il bianco dell’ala di questo volo Andes.
Siamo partiti con 5 ore di ritardo, una cosa normale solo per Trenitalia, ma ci hanno offerto la colazione, poco importa.
Voliamo, con 5 ore di ritardo e torniamo a casa, alla cosa più simile a “casa” che ho da questa parte dell’oceano, dell’emisfero, del mondo.
Alessia e Andrea, nei posti 14D e 14E stanno guardando un insulso documentario sul furto di sciroppo d’acero. Ale mi ha regalato il posto finestrino, come ultimo gesto di clemenza, dopo tutti i finestrini random che le sono stati assegnati su tutti i voli che abbiamo preso, come a volersi beffare di me. Ora me lo godo un po’, mi godo questa romantica vista sul passato e sul futuro.

Ora posso chiudere i conti.
Ho sempre amato le liste e durante il viaggio ho meticolosamente preso nota delle persone da ringraziare, di tutte le persone che ci hanno ospitato, le famiglie che ci hanno aperto le porte delle loro case, dei mezzi che abbiamo preso, di chi ha lasciato un segno, anche solo con un sorriso.

Letti
1. Miami – Jhon
2. La Habana – Hostal Obispo 360
3. Varadero – Casa Yamila a Santa Marta
4. Viñales – Casa Iliana
5. Cancún – Ken
6. Playa del Carmen – Alex
7. Playa del Carmen – Abraham
8. San Cristóbal – Monse
9. Zipolite – Cabañas cosmo
10. Oaxaca – Juaquin
11. Xalapa – Monse
12. CDMX – Monse
13. CDMX – Josue
14. CDMX – Rodrigo
15. Bogotà – CX Hostal
16. Bogotà – Oscar
17. Medellín – Diego
18. Santa Marta – Jaime
19. Cartagena – Teo
20. Playa blanca – Hostal
21. Bogotá – Andrés
22. Quito – Masaya hostel
23. Lima – Jack
24. Ica – Scorpion Hostel, Kika
25. Lima – Frank
26. Cusco – Taita Wasi
27. Pacchanta – Eusebio
28. Aguas Calientes – Puma
29. La Paz – York
30. La Paz – Fuentes
31. Uyuni – hostel
32. Humahuaca – hostel
33. Tilcara – hostel
34. Salta – Chawasi
35. Tucuman – Lorenzo suite
36. Salta – Darwin

Voli
1. Lima
2. Miami
3. Newark
4. La Habana
5. Cancún
6. Bogotà
7. Medellín
8. Bogotà- Santa Marta
9. Cartagena-Bogotà
10. Missing: Lima
11. Cusco
12. Buenos Aires

Bus
1. Viñales
2. La Habana
3. Playa del Carmen
4. Chichén Itzá
5. San Cristóbal
6. Pochutla
7. Oaxaca
8. Puebla
9. Xalapa
10. Barranquilla
11. Cartagena
12. Frontera Ecuador
13. Cuenca
14. Chiclayo
15. Lima
16. Ica
17. Lima
18. Pacchanta
19. Macchupichu
20. Copacabana
21. La paz
22. Oyuni
23. Villazon
24. Humahuaca
25. Tilcara
26. Jujuy

Taxi
1. Varadero
2. Zipolite
3. Salta

Macchine
1. Cancun – playa delfines
2. Abraham
3. Oaxaca autostop
4. Quito
5. Tucuman

Famiglie
1. Jhon, Jose, Julio (Miami)
2. Yamila, Elena (Varadero)
3. Iliana (Viñales)
4. Ken (Cancún)
5. Alex (Playa)
6. Abraham
7. Juaquin
8. Andy
9. Monse
10. Josua (CDMX)
11. Oscar (Bogota)
12. Diego (Medellín)
13. Jaime (Santa Marta)
14. Teo (Cartagena)
15. Andrés (Bogotá)
16. Sebastian (Quito)
17. Jack (Lima)
18. Kike (Ica)
19. Frank (Lima)
20. Eusebio (Pacchanta)

36 letti in 3 mesi, che corrispondono praticamente allo stesso numero di bagni, docce fredde, volte in cui abbiamo ribaltato lo zaino, in cui l’abbiamo tolto con un sospiro di sollievo, in cui abbiamo chiesto “permesso…” ringraziando umilmente per il troppo che ci veniva offerto.
Guardavamo Pechino Express e sognavamo di entrare nelle case, di poter prendere tutto il meglio di una popolazione, di toccare con mano, di calarsi nei loro panni, di alzare il dito o prendere i mezzi più trasandati. Abbiamo viaggiato in autostop, nei cassoni dei furgoni, in 3 in motorino, su bus puzzolenti, in 18 su una macchina, a piedi…
Abbiamo dormito in casa di giovani, di signori, di famiglie, di ragazzi, in retrobottega di ristoranti su letti a castello che ricordavano i campi di concentramento, svegliandoci con l’odore di patacones fritti ed il voltastomaco, in letti singoli e king size, sull’amaca, sul bus, in monolocali soppalcati, in villette con giardino, incastrati con altri innumerevoli couch su due letti in 40 m2, in appartamenti enormi tutti per noi, con piscina e a strapiombo sul mare.
Abbiamo mangiato con le mani, piccante, fritto, per strada, in ristoranti di lusso, in botteghe meschine, dal piatto di qualcun altro, sedute per terra, sporcandoci tutte, cucinando per chi ci ospitava.
Abbiamo corso, riempito lo zaino fino a farlo scoppiare, abbiamo sudato e vissuto 3 mesi (e ancora oggi) con gli stessi 4 vestiti che sono passati da essere pochi a fin troppi.
Al traguardo non c’era nessun premio in gettoni d’oro, non c’era X a premiarci, ma mi sento comunque la vincitrice di DCB Express, vincitrice dei miei limiti, dei limiti autoimposti, dei limiti imposti dagli altri, dei confini della mia immaginazione, della mia pazienza che ho messo a dura prova. Ho vinto io, una sfida personale ed i miei gettoni d’oro sono persone, sono lezioni di vita, sono tanti piccoli cambi interiori, nello sguardo verso il mondo, nella fame, nella caparbietà, nella tenacia.
Il mio oro è questa Buenos Aires, la possibilità di viverla ancora per 6 mesi, con occhi totalmente diversi, pieni, luminosi, vivi, se possibile più di prima.

Mi ero dimenticata che, quando facesse caldo, i ragazzi a Buenos girano in costume. Mi ero dimenticata di tutto questo mate. Alcuni locali mi sembra di non averli mai visti. Mi ero dimenticata di quanto fosse stancante e grande, anche se non sembrava più, questa città.
Mi ero dimenticata di quanto fossero comode e buone le empanadas, le reti Wi-Fi gratuite ad ogni angolo, i bus veloci come il vento.

Mi sventolano i capelli fuori dal finestrino di questo taxi giallo e nero, le luci avvolgenti di questa città sempre illuminata a giorno m’invadono gli occhi, è una scena estremamente cinematografica, peccato che non ci sia nessun cameraman che mi filma da un’altra macchina. Peccato. Sarebbe il finale perfetto di questo viaggio.
Quando ero piccola pensavo sempre che una volta morti ci saremmo messi a tavolino con il Padre, con un lettore VHS ed il film della mia vita di riguardare. Probabilmente avrei fatto un elenco delle azioni buone, vere, pessime e poi via di conti. Me lo merito questo purgatorio per lo meno?
Così, nel caso, ben vengano le scene molto cinematografiche, non si sa mai che un giorno davvero ci rivedremo, che sia una cosa ben fatta quanto meno.

Ho dimenticato il telefono sotto al banco, in università, come mi succedeva al liceo, come una ragazzina. Sono le 22.30, Ale passa a recuperarlo e va a dormire a casa della nonna defunta del suo couch, io ho preso la metro in direzione Facultad de Medicina, dove vive il mio. È tardi, fuori tirava un vento incredibile, segno della pioggia imminente, di un leggero abbassamento delle temperature, ma qui in metro fa sempre caldino, sotto terra, in quest’altra dimensione. Mentre decidevamo come recuperare il telefono ci sono passate affianco almeno cinque treni, per fortuna li ho persi tutti e sono salita su questo. Due ragazzi venezuelani stanno suonando chitarra e violoncello, due dei miei 3 strumenti preferiti. Non è un incanto come quando suona Carlo, ma il clima è allegro, la metro semi vuota, sembra una performance intima.
«De donde eres?»
«Italia»
Confabulano, a bassa voce, il violoncellista non conosce la prossima canzone che vorrebbe suonare il chitarrista.
«Empieza y canta, te alcanzo»
Lo segue, prende il ritmo e adesso siamo in tre, due venezuelani ed una italiana a cantare “O sole mio” in metro, a Buenos Aires.
Non ho tagli piccoli, non gli lascerò niente, solo un grande sorriso ed un «gracias chicos!» che spero gli basti per questa sera, che magari gli darà l’allegria giusta per continuare.
Esco insieme ad una ragazza, venezuelana anche lei, commenta quanto siano bravi i ragazzi. È un ingegnere, vive qui da anni, guadagna bene e manda i soldi ai genitori che invece muoiono di fame lassù. «ojalá se arregle todo», mi dice. Speriamo si sistemi tutto. Ojalá. Ci abbracciamo.
Entro in casa e la cena è pronta in tavola, distrutta e felice mi butto a letto, con Chiara al seguito.
Va tutto bene.

La casa ce la daranno solo lunedì prossimo, dobbiamo vagabondare ancora una settimana e non mi entusiasma troppo l’idea, ma cosa posso fare? Ancora un pochino di pazienza.
Siamo passati da Giuliano a riprendere quanto meno la SIM italiana, posso finalmente bloccare il bancomat che mi ha mangiato l’ATM dell’aeroporto di Lima praticamente un mese fa, Ale nel mentre finisce di fare i conti e… Porca miseria.
È giunto il momento di parlare di budget, anzi, di budget sforati. Ho temporeggiato fino ad oggi, ma a conti fatti devo analizzare i risultati, ammettere le mie colpe, capire dove ho sbagliato, così magari imparate anche voi dai miei e nostri errori, senza ripeterli, o scegliendo consapevolmente di commetterli.

Sto per mettere in piazza i conti delle spese che abbiamo sostenuto in questi mesi, dal 28 novembre al 27 febbraio, esattamente 3 mesi di vacanza.
Li analizzo per me e per chi mi ha chiesto “ma come fai?” “Ma dove trovi i soldi?” “Ma quanto ti è venuto a costare?”. Lo faccio per mia mamma che ho sempre liquidato con un “è più economico viaggiare per il Sud America che vivere in Argentina”. Per tutti quelli che credono che serva chissà quale budget quando l’unica cosa che serve è un po’ di contegno, forza di volontà, inventiva e spirito d’adattamento.
Il prossimo post sarà più numerico che romantico, in diretta dalla nuova casa di Scalabrini Ortiz.

Continua…

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